Non solo Urania. La svolta degli anni Cinquanta
- Andrea Pighin
- 2 gen
- Tempo di lettura: 6 min
Avete scoperto il legame tra l’opera di Salgari e della misteriosa Fabiola, di cui vi parlavo nel precedente appuntamento?
Se avete svolto bene la missione, è ora di proseguire con il racconto. Eravamo rimasti all’epoca fascista, alla censura della cultura americana. A fine anni Quaranta, il nostro Paese, sul piano fantascientifico, ha perso un treno importantissimo. Inoltre, durante il Ventennio, la produzione interna si era dispersa in varie riviste e periodici non specializzati: da un lato, gli scrittori erano spesso poco consapevoli delle peculiarità del genere e dall’altro gli editori sembravano considerare la fantascienza un “orpello” a corredo di contenuti di altra natura.
Curiosa l’esperienza dell’ingegnere Armando Silvestri, redattore capo della rivista del ministero dell’aeronautica, che propone una rivista quadrimestrale di fantascienza, dal titolo Avventure nello spazio, e ispirata ad Amazing Stories. Il periodico doveva alternarsi ad altri tre, dedicati alle avventure per mare, per terra e nel cielo, ma soltanto quest’ultima ottiene l’approvazione.
Uno stigma analogo tocca al fumetto, non soltanto fantascientifico, e Topolino è uno dei pochi a salvarsi dalla totale censura antiamericana. In termini di produzione interna, nel 1939 esordisce Virus, il mago della foresta morta, ideato da Federico Pedrocchi e Walter Molino e con al centro la figura di uno scienziato pazzo pronto a conquistare il mondo.
Poco dopo, Gian Luigi Bonelli – il padre di Tex – acquista il periodico L’Audace, su cui veniva pubblicato Virus, e esordisce nella fantascienza con il fumetto I conquistatori dello spazio, su disegni di Raffaele Paparella. La particolarità della storia risiede non tanto nell’ispirazione a Flash Gordon, quanto nell’ambientazione, che rievoca certe suggestioni di cui ho già parlato in più di un video su Alchill TV
(Il culto segreto di un dio oscuro e Nazismo, UFO e Terra cava: Miguel Serrano). Lo scenario è infatti quello himalayano, in una remota regione nella quale si mescolano i motivi del mondo perduto, dei raggi della morte e di un’organizzazione segreta.
Dal 1939, viene introdotto anche il personaggio di Superman, ma le storie vengono manipolate dal regime e il supereroe è ribattezzato in vari modi, anche nel dopoguerra: Ciclone, Uomo d’Acciaio e Nembo Kid.
Chiuso il Ventennio, ottiene successo Misterix, creato da Max Massimino Garnier e da Paul Campani, incentrato su un personaggio che acquista poteri straordinari attraverso un dispositivo misterioso: il successo sarà tale da venir pubblicato fino agli anni Settanta, per poi proseguire la sua storia editoriale in Argentina.
La seconda parte degli anni Quaranta vede poi la comparsa di altri personaggi dei fumetti legati alla fantascienza: il 1947 è l’anno di Mirko, ideato dai fratelli Carlo e Vittorio Cossio, e di Roal, il Tarzan del mare, scritto da Roberto Renzi e disegnato dallo studio di Andrea Da Passano. L’anno dopo, invece, compare Razzo, l’uomo di plastica di A. Platania, la storia di un alieno dotato di superpoteri, che viene catturato da uno scienziato.


Uscendo dal discorso sul fumetto, la fantascienza italiana ha un inizio “ufficiale” nel 1952. In questo periodo, comincia a diffondersi la cultura di massa in chiave moderna, soprattutto attraverso la televisione e con un ampliamento dell’industria culturale in varie direzioni. Desta nuovo interesse anche la narrativa fantastica, in concomitanza con una rinnovata fiducia nel futuro e nel progresso tecnologico.
Il 1952 è certo l’anno di Urania, ma questo titolo ormai celebre non ha il primato di prima rivista sci-fi italiana. Poco prima, nell’aprile dello stesso anno, viene pubblicata Scienza Fantastica – Avventure nello spazio, tempo e dimensione, una rivista delle Edizioni Krator di Roma, gestita dall’italoamericano Vittorio Kramer e dall’amico Lionello Torossi. Il primo investe il capitale e i due contano di portare in Italia il grande successo che la fantascienza aveva avuto negli Stati Uniti.
Per questa parte, mi affido alle informazioni ricavate da un testo fondamentale di Luigi Cozzi, il primo volume de La storia di Urania e della fantascienza in Italia, intitolato L’era di Giorgio Monicelli 1952 – 1961 (Profondo Rosso, 2006).
Concentriamoci su Torossi. Questi aveva scoperto la fantascienza nel corso della sua lunga prigionia in India, con gli inglesi. Rientrato in Italia, diviene così il direttore della rivista e pubblica a puntate i racconti degli scrittori statunitensi, tratte soprattutto da Astounding Stories, coinvolgendo però anche autori italiani. A noi, oggi, viene facile parlare di fantascienza, ma in origine il termine inglese science-fiction era stato tradotto per l’appunto con “scienza fantastica”.
La rivista pubblica sette numeri, con periodicità mensile. Nell’Editoriale di presentazione del primo numero, Torossi scrive: «[…] e Scienza e Fantasia sono gli ingredienti di cui sarà ricca ogni mese la nostra rivista.»
Il primo numero si apre con Rescue Party (Operazione di salvataggio) di Arthur C. Clarke. Nei sette numeri appaiono, tra gli altri, Kornbluth, Lester Del Rey, L. Sprague De Camp, Isaac Asimov e Theodore Sturgeon.
Torossi supervisiona e cura praticamente ogni aspetto e si dedica anche alla pubblicazione di un romanzo a puntate con lo pseudonimo di Massimo Zeno.
Dal quinto numero, tuttavia, la concorrenza si allarga a Urania Rivista e a I Romanzi di Urania, edite dalla casa editrice Mondadori. Scienza Fantastica cessa le pubblicazioni per la scarsità delle vendite. In un’intervista a Torossi realizzata da Cozzi nel 1980, questi imputa il fallimento all’inesperienza come editori. Anche la veste editoriale, per il pubblico italiano, risultava «squallida», a suo dire.
A memoria, egli ricorda che ogni numero vendeva tra 3000 e 5000 copie, a fronte di una tiratura di 20mila copie: avevano cominciato a rientrare delle spese, ma non ancora a guadagnarci. Secondo Torossi, il suo tentativo di introdurre una “fantascienza all’italiana” non era in linea con la domanda dei lettori, i quali volevano storie ambientate negli Stati Uniti e nel Regno Unito e possibilmente scritte da autori anglo-americani. È così che, alla partenza del socio Kramer per gli USA, l’esperienza di Scienza Fantastica ha fine. I due rimangono amici, ma Torossi non avrà più niente a che fare con la fantascienza.

Non siamo tuttavia giunti a Urania, non ancora. Dal 1° agosto al 15 ottobre del 1952, vale la pena segnalare la pubblicazione di Mondi Nuovi, il quindicinale di Avventure nello Spazio che arriva a sei fascicoli editi. Il progetto è sotto il controllo dell’Editrice Diana di Roma, proprietà di Gabriele Gioggi, sotto la direzione di Eggardo Beltrametti, il quale stima a memoria una tiratura di 4000-5000 copie.
Al suo interno si trovano anche i fumetti e gli scrittori italiani pubblicano con pseudonimi stranieri. Si rivolge ai giovanissimi e sfrutta la recente popolarità del cinema di fantascienza. Come con Torossi, Cozzi dedica un’intervista anche a Beltrametti, un insegnante di storia e filosofia che, sotto il fascismo, si era dedicato alla politica. Aveva poi svolto attività di giornalista, occupandosi di tematiche relative alla politica estera e alla difesa, e ciò aveva fatto crescere in lui l’interesse per la futurologia. Si dedica così alla cura della rivista Mondi Nuovi per divertimento.
Nell’ultimo numero, si annuncia persino la creazione degli Astro Clubs, associazioni di appassionati, ma è lo stesso Beltrametti a riconoscere che le storie presentate sono acerbe e ispirate più al cinema e ai fumetti che a una conoscenza diretta della narrativa di genere. Oltretutto, la chiusura dipende anche dalla proprietà, dal momento che Gioggi intende inglobare la rivista in un quotidiano per ragazzi.
Conclusa in questo modo l’esperienza di Mondi Nuovi, Beltrametti crea la rivista Mondi Astrali, sopravvissuta per appena quattro numeri. Questa cessa le pubblicazioni perché non si trovano più autori: quelli apparsi fino ad allora, infatti, erano amici dello stesso Beltrametti! Intervistato su quale fosse la sua visione del genere, egli evidenzia tre aspetti: la stranezza (intesa come bizzarro, o weird?); l’innovazione tecnica o scoperta prodigiosa; la rilettura del passato con occhi diversi (ucronia o fantapolitica?).
Dunque, per le riviste che aveva curato, Beltrametti voleva storie che mostrassero come il progresso scientifico mutasse la società, ma gli autori non erano all’altezza del compito. Non intendeva nemmeno coinvolgere gli stranieri, poiché il progetto voleva essere un semplice esperimento tra amici.

Nel frattempo, in quei mesi, Mondadori lancia le due proposte editoriali che ho menzionato: sto parlando del progetto Urania, un nome che richiama la musa dell’astronomia. Giorgio Monicelli ne è il direttore ed è lui a coniare il termine italiano “fanta-scienza” e, dal novembre 1952, “fantascienza”.
Come scrivono Gaetana Marrone e Paolo Puppa nel testo Science Fiction, contenuto nell’Encyclopedia of Italian Literary Studies (Routledge, 2006), la traduzione di Monicelli è impropria, poiché una più aderente sarebbe “narrativa scientifica”, o “a sfondo scientifico”, rimarcando peraltro un interesse maggiore degli scrittori italiani ed europei per l’aspetto fantastico del genere e meno per quello tecnico-scientifico.
Questo è un discorso sul quale torneremo nei prossimi mesi, ma prima ci attende un viaggio intenso, decennio dopo decennio, alla scoperta della fantascienza italiana dal secondo Novecento ai giorni nostri. Nel frattempo, se avete ereditato in cantina vecchi numeri delle riviste citate in questo articolo, siete pregati di contattarmi…
A presto!
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