L’epoca di Giorgio Monicelli
- Andrea Pighin
- 24 feb
- Tempo di lettura: 11 min
Nei due articoli precedenti della rubrica, vi ho mostrato gli antecedenti letterari legati alla fantascienza nel nostro Paese e vi ho raccontato della prima rivista italiana del genere. Come anticipato, un momento di svolta nel mercato è segnato dall’avvento di Urania della Mondadori. Ma chi c’era dietro alla sua fondazione?
Giorgio Monicelli prima del 1952
Giorgio Monicelli è stata una figura fondamentale per la diffusione della fantascienza in Italia, non solo perché ne ha coniato il termine. Nasce a Tradate il 21 maggio del 1910 da Tomaso Monicelli e dalla sua amante, Elisa Severi. Sul padre tornerò più avanti. La madre, invece, era un’attrice teatrale che godeva di una certa popolarità e che era dotata di un fascino fatale, a detta dei critici e degli ammiratori. Giorgio è fratellastro del famoso regista Mario Monicelli e, tramite la zia Andreina, è nipote di Arnoldo Mondadori. Il giovane cresce in parte con i Mondadori, a stretto contatto con il cugino Alberto. Fin da ragazzino, Giorgio esplora i segreti dei mondi impossibili e la curiosità lo spinge a leggere sia la narrativa che la saggistica sui temi dell’astronomia, delle esplorazioni e dei grandi misteri della storia.

Avendo appreso inglese e francese da autodidatta, si dedica presto alle traduzioni. Nel 1935, lavora alle edizioni Walt Disney per la Mondadori, traducendo gli albi a fumetti e contribuendo alla diffusione di Topolino. Qui è pagato molto bene, tuttavia è insofferente alle regole e agli orari d’ufficio e finisce per licenziarsi. Ricopre altri impieghi, p. es. scrivendo per il periodico Epoca (dove lavorava uno dei fratelli) e per Einaudi, dove conosce Cesare Pavese, che ammira per gli scritti e molto meno per il carattere autocentrato, in contrasto con la mitizzazione costruita dagli intellettuali. Per alcuni mesi, collabora al periodico Il Milione, proprietà di Alberto Mondadori e diretto da Cesare Zavattini, e, tra il 1935 e il 1936, diviene direttore de Il Cerchio verde. Quest’ultimo è un settimanale giallo-rosa, con racconti statunitensi, gialli o d’avventura, che presenta anche storie fantastiche e sul paranormale. Giorgio collabora poi al Giornale delle Meraviglie, un periodico in cui si spiegano e illustrano curiosità del mondo e che include resoconti sul meraviglioso a sfondo fantascientifico. La rivista è diretta dallo stesso Zavattini e Giorgio, che cura la rubrica intitolata Mondi invisibili , utilizza lo pseudonimo di V. Melli.
Queste esperienze sono comunque di breve durata, perché Giorgio è suscettibile alle regole e riesce a lavorare soltanto per Mondadori, dove la tolleranza nei suoi riguardi, motivata dalla parentela, è maggiore. Come riferisce la seconda moglie Italia Buzzi, intervistata nel 1981 da Luigi Cozzi, il marito restava alla Mondadori perché «poteva lavorare come cioè piaceva a lui, ovvero senza orario, senza impegno, senza rispettare le scadenze. […] Ma, con gli altri editori, era un disastro, uno scontro frontale…».

Quando Giorgio la sposa, nel 1937, i due non hanno soldi. È la donna a fare da paciere (e da garante) per il marito presso Arnoldo, assicurandogli che sarebbe stato puntuale con le traduzioni. In quel mestiere, Giorgio è un maestro: traduce, tra gli altri, Simenon, Hemingway e Orwell. Sua è la prima traduzione de La fattoria degli animali, realizzata in segreto, perché la polizia fascista perquisisce le abitazioni dei collaboratori delle case editrici.
Nel corso della guerra, Giorgio viene arruolato nell’esercito, ma finisce in carcere a San Vittore per essersi unito alla resistenza. Il rispetto dei commilitoni lo porta, nel 1946, a ricoprire l’incarico di questore di Varese. Quel lavoro, però, non è che un ripiego, in quanto la Mondadori gli aveva proposto di trasferirsi negli Stati Uniti per dirigere un ufficio della casa editrice, ma l’ambasciata statunitense l’aveva indicato come persona non gradita, per la sua iscrizione al Partito comunista italiano. È un duro colpo per Monicelli, come ricorda l’amico e scrittore Enrico La Stella: «Non gli interessava Parigi, né Londra, né Mosca… ma solo l’America, che poi in realtà amava e odiava, come molti della sua e della nostra generazione, tutti comunisti convinti, ma tutti innamorati del mito americano. E il suo sogno era di poter andare in America, di poterci vivere, di poterla visitare in lungo e in largo. Aveva davvero il mito dell’America […]».
Un altro amico, Orlando Bernardi, intervistato da Cozzi, afferma al riguardo: «Comunque non era un comunista cieco: è sempre stato molto critico nei confronti del burocratismo del partito, per esempio, forse perché, già allora, aveva capito, aveva intuito tutto e s’immaginava come sarebbe andata a finire.»
Sfumato il sogno di una vita, Giorgio perde anche l’impiego come questore, su pressione degli statunitensi. Poco dopo, si separa dalla moglie, poiché si innamora della fidanzata dello scrittore e amico Giorgio Scerbanenco, Maria Teresa Maglione, detta Mutti.
I due amanti hanno interessi comuni, che spaziano dalla narrativa del fantastico alla spiritualità orientale. Autrice versatile, Maglione si può considerare la prima scrittrice di fantascienza italiana in senso moderno. Avendo un contratto in esclusiva con Rizzoli, impiega diversi pseudonimi, tra cui Patrizio Dalloro. È una conoscitrice dell’occultismo, della magia e della parapsicologia, materie che si ritrovano nei suoi scritti su Urania e sulla rivista Galassia, di cui scriverò più avanti. Lei e Giorgio lavorano giorno e notte alle traduzioni e all’ideazione di nuove storie: Urania è ormai già una realtà.
Alla guida di Urania
Parto con Urania Rivista. La pubblicazione inizia a novembre del 1952 e si protrae fino al dicembre dell’anno successivo, con periodicità mensile. Per i contenuti analoghi, è considerabile come l’edizione italiana di Galaxy, la rivista sci-fi edita negli Stati Uniti dal 1950 nientemeno che da una casa editrice italiana, le Edizioni Due Mondi!
Urania Rivista prevede racconti, romanzi brevi, sceneggiature di film, articoli scientifici e recensioni, nonché una posta dei lettori. Proprio in una risposta a un lettore, contenuta nel n. 11, Monicelli commenta la possibilità di pubblicare autori italiani: «[…] Molti manoscritti italiani di fantascienza – alcuni notevolmente interessanti – sono in lettura e non escludo affatto la probabilità della pubblicazione di qualche bel racconto italiano (e anche di qualche romanzo). Gli italiani sentono con poesia e commozione la bellezza e l’arte della scienza: troppi grandi e sommi abbiamo avuto in quel campo perché la poesia della scienza non sia una caratteristica del nostro popolo.»

Parole ispirate che tuttavia danno troppa fiducia a un popolo ancora poco abituato alla forma del racconto. Infatti, Urania Rivistachiude dopo appena quattordici numeri, a causa delle vendite. Ironia della sorte, poiché – nelle intenzioni di Monicelli – la rivista doveva essere la principale pubblicazione del progetto.
Per quanto riguarda I Romanzi di Urania, questi diventano semplicemente “Urania” dal n. 153 del 1957. Il sottotitolo Avventure nell’universo e nel tempo viene modificato, a seconda del contenuto, in I Romanzi, I Capolavori, Le Antologie. Le pubblicazioni iniziano il 10 ottobre del 1952 e continuano tutt’ora. La periodicità è variata nel corso degli anni, fino a diventare in alcuni periodi persino settimanale (oggi è mensile). L’“epoca Monicelli” va dal n. 1 al n. 267 (1952-1961). La maggior parte delle prime centosettanta copertine sono realizzate da Curt Caesar: Monicelli indica il soggetto e il disegnatore lo realizza a distanza, a Roma, confrontandosi solo via telefono. Si trovano poi altri copertinisti, finché, dal n. 282, Karel Thole diventa l’illustratore “ufficiale”. Per quanto riguarda le illustrazioni interne dell’epoca Monicelli, queste sono realizzate da C. Jacono.
Il primo numero de I Romanzi di Urania propone Le sabbie di Marte di Arthur C. Clarke. Gli autori portati da Monicelli in Italia sono numerosi, tra cui Clifford D. Simak, John Wyndham, Jack Williamson, Robert Silverberg, Richard Matheson e molti altri. Di alcuni di questi scrive: «[…, Robert A.] Heinlein (discontinuo, contraddittorio, autore tuttavia di alcuni tra i più belli e originali racconti di fantascienza), […] Per [Frank] Russell, poi, ho un debole particolare, [...]; e quanto a Minaccia occulta [di Dennis Wheatley] ricordo che quando lo lessi per la prima volta, nell’originale, fui costretto a passare la notte in bianco, avendone cominciata la lettura prima di mezzanotte.»
Monicelli è un esperto perché conosce le riviste di fantascienza pubblicate negli Stati Uniti. Si trovano negli uffici della Mondadori, a volontà e di ogni genere, per rimanere aggiornati sulle nuove tendenze. Monicelli si porta a casa pacchi di quelle riviste che tutti snobbano, tra cui Science Fiction Quarterly, Amazing Stories, Astounding Stories, Fantasy & Science Fiction, etc.
Un’intervista a Monicelli del 1956, riportata sul quotidiano milanese La Notte all’articolo Questi milanesi vivono già nel 2000, permette di approfondire l’idea che il padre della fantascienza italiana aveva del genere: «La fantascienza è un genere letterario che si basa sulla scienza applicata, portata alle estreme conseguenze, così da diventare una specie di metafisica dozzinale...».
Più avanti, Monicelli sostiene che la fantascienza in Italia abbia trovato un pubblico soprattutto tra i «tecnici» (ingegneri, chimici, periti industriali, operai specializzati, etc.) e tra i commessi, ma ritiene che esistano in Italia appena due o tre scrittori del genere e che coloro che si celano sotto pseudonimo non siano autori famosi. In chiusura, l’intervistatore chiede se la fantascienza sia un genere moderno o antico: Monicelli risponde che vi sono stati precursori p. es. in Luciano di Samosata, fino ad arrivare al padre del genere, H. G. Wells. Tra i precursori italiani, cita Leonardo da Vinci e Dante Alighieri, «per la profonda conoscenza dei problemi scientifici, sia pure del suo tempo.»
Il pubblico iniziale di Urania è giovanile, tanto da presentare romanzi d’avventura di autori francesi – i juveniles – che risultano più semplici rispetto a quelli tecnici degli angloamericani. Solo in un secondo momento l’età media dei lettori si alza (con i nuovi interessati e un pubblico fidelizzato ormai maturo).
Nonostante le ingenti vendite di Urania, attestate tra le cinquanta e le sessantamila a copia (un numero in seguito mai superato), gli anni della gestione di Monicelli sono tutt’altro che semplici. La casa editrice non crede molto al progetto, tanto da non costituire nemmeno un’apposita redazione per Urania. Le tariffe editoriali sono le più basse della Mondadori e si fatica a trovare traduttori. Tra i nomi ricorrenti in traduzione, Beata Della Frattina e quel Patrizio Dalloro che cela il nome di Maglione. Quest’ultima cura anche delle rubriche, prima su Urania Rivista e in seguito su Galassia di Udine, dedicate alla spiritualità orientale, con un particolare interesse per Il libro dei mutamenti cinese , o I Ching.
Tornando al trattamento del testo originale, Monicelli e i collaboratori successivi ricevono la traduzione dell’intera opera e attuano dei tagli, sia per rientrare nel numero di pagine massimo consentito dalla casa editrice, sia per ovviare a quelle che vengono ritenute delle lungaggini narrative dovute al sistema di pagamento degli scrittori statunitensi (per numero di parole). I primi numeri vengono creati quasi interamente a casa del fondatore, coadiuvato dalla compagna. Monicelli fa acquisire alla Mondadori i diritti di decine di scrittori, in maniera tale da crearsi un tesoretto di autori fin da subito e da rendere la vita difficile alla concorrenza.
Eppure, proprio con lo pseudonimo di Tom Arno, nell’estate del 1957 Monicelli lancia I Romanzi del Cosmo con l’editore Ponzoni di Milano. Il paradosso, a quel punto, è che le due principali concorrenti del settore, Cosmo e Urania, sono dirette dalla stessa persona! Cosmo, infatti, si afferma tra il pubblico, ma l’esperienza di Monicelli dura poco e la cura passa nelle mani dell’amico Luigi Rapuzzi Johannis, con il quale ha già creato la rivista Galassia di Udine (terminata dopo pochi numeri).
Da questi dati, emerge lo scontento di Monicelli nei confronti della Mondadori, che non aveva creduto davvero in lui e in quell’idea, che pure stava fruttando denaro. D’altra parte, la scelta di realizzare il progetto con quella casa editrice era stato quasi un obbligo.
Nel 1981, Cozzi intervista un caro amico di Monicelli, il giornalista e scrittore Enrico La Stella, che riferisce come, al principio, Giorgio stesse cercando un’altra via. La Stella gli aveva fatto conoscere due amici editori, tra cui Mario Adriani della casa editrice A.M.Z., che era interessato a Urania, ma non disponeva di abbastanza soldi da investire. Nella stessa intervista, La Stella ricorda di come Monicelli parlasse «sempre di una scuola di scrittori italiani di fantascienza che voleva creare…».
Al contrario, il suo futuro si rivela carico di molti dispiaceri.
Damnatio memoriae dopo Urania
Giorgio Monicelli ha una figlia dalla prima moglie, morta di malattia, e altre tre figlie dalla seconda moglie. Le adora tutte e quattro e si premura di far avere loro il poco che guadagna, anche grazie all’aiuto della compagna.
Molti, per anni, gli dicono di scrivere un romanzo: lui ne inizia diversi, ma non ne finisce nessuno. Scrive racconti, firmati con vari pseudonimi, tra cui Ernest George Stern. È prodigo di idee e di soggetti, che suggerisce ad altri scrittori e alla stessa Maglione. Monicelli crede nelle penne italiane e lancia molti autori nostrani, tra cui Ernesto Gastaldi (con lo pseudonimo di Julian Berry), Damy Fayad e Emilio Walesko.
Negli anni Cinquanta, Sergio Solmi lo contatta: sta sviluppando un’antologia per Einaudi, dedicata interamente alla fantascienza. È una sorta di consacrazione intellettuale per il genere. Solmi è un appassionato, soprattutto di fantascienza cinematografica, e negli anni Trenta scriveva fumetti del genere con un certo successo (Un uomo contro il mondo; la fortunata serie di storie intitolate Saturno contro la Terra, etc.). Crea sceneggiature per passione, talvolta perfino gratuitamente. È insomma l’uomo giusto per questa antologia e Monicelli si confronta volentieri con lui. Poi le strade dei due si separano, soprattutto per gli impegni editoriali di Giorgio, ma il progetto prosegue e viene pubblicata l’antologia Le meraviglie del possibile, che presenta molti racconti già usciti in Urania.

La vita di Monicelli è tutta segnata da questa spontanea apertura verso il prossimo, ma in lui cresce anche un dolore mai risolto. Il padre, Tomaso, era uno scrittore di commedie teatrali di successo, che scriveva anche per l’attrice Severi, la madre di Giorgio. Tomaso è colui che pone le basi per la crescita di Mondadori e lo fa p. es. portando Gabriele d’Annunzio alla casa editrice. In seguito, diviene direttore editoriale per Rizzoli e viene nominato presidente dell’Associazione Nazionale della Stampa, ma la sua carriera termina bruscamente: Tomaso è contrario al fascismo e smette di scrivere nel corso del Ventennio, in attesa di tempi migliori. Nel secondo dopoguerra, però, è stato dimenticato: ci sono nuovi nomi e nuove tendenze nel mondo del giornalismo e dell’editoria. Un giorno, il padre di Giorgio si chiude in bagno e si uccide con un colpo di pistola.
Forse Giorgio imputa alla Mondadori quella morte, non è dato saperlo, ma le tensioni ricorrenti giungono a un punto di non ritorno. Quando Alberto Mondadori, il principale protettore di Monicelli, si allontana dalla casa editrice, questa finisce nelle mani dei burocrati e Giorgio si sente schiacciato: «Sa, alla fine degli anni Cinquanta l’atmosfera dentro la Mondadori è completamente cambiata. La società si è trasformata in una vera e propria industria, sono svaniti i rapporti personali di un tempo...», commenta il fratello Furio, intervistato da Cozzi.
Secondo un altro fratello, Mino: «Giorgio era diverso. Non andava mai in ufficio, o si presentava con due ore di ritardo alle riunioni […]. E quindi era inevitabile che gli altri venissero più considerati, che facessero carriera… mentre lui restava sempre fermo lì, con quella rivista che nessuno considerava degna di essere letta e che la Mondadori continuava a fare solo perché vendeva bene…».
Nel corso degli anni, Monicelli sviluppa una seria dipendenza dall’alcool, che lo rende ancora più agitato e difficile da trattare. Il suo estro positivo sfocia sempre più in rabbia e frustrazione. Poi, arriva la diagnosi: il fegato è spappolato e deve rinunciare completamente alla sostanza. La compagna non lo abbandona, fino all’ultimo giorno, ma Giorgio si spegne a poco a poco e diviene il fantasma di se stesso. Nel ricordo di un amico, Monicelli è scosso dalla morte del poeta Dylan Thomas e si rammarica di non aver lasciato un segno nella letteratura. Gli ultimi anni sono pieni di tristezza e di delusione.
Chi ha avuto a che fare con lui per parentela, lavoro o amicizia, dice che si è autodistrutto, nonostante fosse una persona originale, dotata, con una conoscenza vasta e varia; ottimo oratore e intrattenitore. L’amico Orlando Bernardi afferma che nella Milano degli anni Cinquanta c’erano da un lato Elio Vittorini, che animava il dibattito milanese con la rivista Il Politecnico, proponendo una cultura contraria a quella accademica; dall’altro Giorgio Monicelli, che «era un po’ il capo di un movimento culturale, con molta gente intorno a lui, ed era l’unico altro uomo guida che in quel periodo spiccava a Milano, oltre a Vittorini.» Ma quest’ultimo era un’«organizzatore», mentre Monicelli un «anarchico» e non ha lasciato nulla, finendo per essere dimenticato.

Il confronto ritorna anche nelle parole di Marila Chiozzi, una giornalista amica di Giorgio e di Maria Teresa Maglione, che nel 1981 afferma: «A me fanno infatti ridere i vari Vittorini, i vari letterati oggi celebrati, se li mettiamo a confronto con Giorgio Monicelli, che era e ha fatto molto più di tutti loro messi insieme. Giorgio, i vari Vittorini e soci, se li mangiava tutti, ma proprio tutti, mi creda.»
Giorgio Monicelli muore nel sonno, all’improvviso, il 2 novembre del 1968. Il destino non gli permetterà nemmeno di assistere allo sbarco sulla Luna di pochi mesi dopo; uno di quegli eventi capitali che Monicelli aveva anticipato e atteso per tutta la vita.
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