Il fantastico: tra inconscio e identità
- Adriano Grazioli
- 8 gen
- Tempo di lettura: 4 min

Proseguiamo, cari lettori e care lettrici, alla scoperta del mondo weird parlando un po' del capostipite del genere: Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1882).
Come abbiamo visto nell’articolo precedente, egli è da considerarsi un pioniere della scrittura fantastica. Non produsse solo testi in prosa: nella sua vastissima collezione è possibile trovare poesie, composizioni musicali, fiabe e storie per bambini.
Alcune delle sue opere più note sono Schiaccianoci e il re dei topi (1816), inserito nella raccolta I confratelli di Serapione (1819-1821) e L’uomo della sabbia, tradotto anche con altri titoli quali L’Orco insabbia o Il mago Sabbiolino (1815), e pubblicato in Notturni (1817).
Uno degli aspetti più affascinanti di questi scritti è sicuramente la loro potenza immaginifica, tant’è che lo stesso Freud usò L’uomo della sabbia come esempio quando scrisse il saggio Il perturbante.
“Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.” - Freud S., 1919.
Dalla citazione possiamo cogliere tutta l’essenza simbolica e poetica che il fantastico è in grado di generare nel lettore. Molto prima che la psicanalisi prendesse piede nella cultura di massa e concetti quali inconscio, pulsioni, Io fossero sulla bocca di tutti, la letteratura fantastica era l’unico specchio in cui potersi riflettere per indagare le proprie incoerenze, guardandole sì con occhio grottesco, ma senza un vero giudizio.
“La scoperta dell’inconscio avviene qui, nella letteratura romantica fantastica, quasi cent’anni prima che ne venga data una definizione teorica.” - Italo Calvino a proposito de L’uomo della sabbia, 1989.
Lo spirito di Hoffmann, visionario per il suo tempo, è oggi ben radicato in molte delle nostre storie, oltre che nella cultura di massa. Se nel nostro secolo qualcuno scrivesse un’opera con forti tinte oniriche, probabilmente storceremmo il naso: tali temi sono stati ampiamente trattati da altri autori, al punto da aver saturato il palinsesto culturale. È come nel caso dello stile lovecraftiano, sempre più abusato da chi scopre il genere e decide di dilettarsi nella scrittura. Mi ci metto nel mezzo pure io che, da adolescente, ho cercato in lungo e in largo di replicare lo stile del Solitario di Providence, per fortuna con scarsissimo successo.
Indipendentemente da tutto questo, il lavoro di Hoffmann è stato seminale e cruciale per il genere. Probabilmente, senza di lui, non avremmo avuto Uno, nessuno, centomila di Pirandello (giusto per citarne uno) e ciò sarebbe stata una gravissima perdita per la cultura globale.
Freud giudicò Hoffman come il maestro indiscusso del perturbante in letteratura, tant’è che il suo stesso lavoro analitico condotto sullo studio del processo di castrazione trae ispirazione proprio da L’orco insabbia, dove l’atto simbolico di cavare gli occhi ai bambini riporta alla mente del lettore un’angoscia atavica, sperimentata durante lo sviluppo psicosessuale.
C’è un altro tema veramente importante, che emerge dagli scritti del padre del weird: il concetto di automa.
Bambole di cera, oggetti che si muovono e prendono vita. Si ribalta in piena regola il concetto di identità così come lo si è sempre inteso. La scintilla di ciò che in letteratura vedremo con Mary Shelley o Karel Capek è stata prodotta proprio da testi come Lo schiaccianoci e il re dei topi, nonostante vi siano testimonianze ancora più antiche del concetto di automa (pensiamo ad esempio ai Golem nella religione ebraica), ma, probabilmente, si deve sempre a Hoffmann la fusione di dei due poli, coscienza e inanimato.
Ho voluto aprire questa piccola parentesi sul genere, collegandovi il tema della psicanalisi e dell’identità perché, troppo spesso, questo genere ha subito una forte discriminazione. Vuoi per frasi stereotipate quali “i giovani leggono romanzi, gli adulti saggi”, vuoi per la scarsa conoscenza da parte degli addetti ai lavori: poche volte il merito a questo filone è stato riconosciuto.
La potenza poetica e narrativa che solo il fantastico sa generare può colpire le menti e i cuori dei più, dipingendo con tinte pulp immagini capaci di lasciare il segno ed evitando, spesso, di interfacciarsi con noiosissime spiegazioni complesse.
Pensiamo alla ricerca di un posto nel mondo, come accade all’automa di Io, robot
(E. Binder, 1939, Amazing stories) o al protagonista de L’estraneo di H. P. Lovecraft, destinato alla solitudine più totale, e possiamo renderci conto di come drammi di tale intensità trovino ancora spazio nel nostro quotidiano. Empatizzare con il weird è un modo per crescere come individui, come esseri umani, poiché è proprio in tale ricerca dell’inumano che saremo in grado di scoprire cosa ci definisce come specie.
Concludiamo con i soliti consigli: tre opere, fruibili in tre media diversi.
Il racconto “Io, Robot” di E. Binder, lo potete trovare in audiolibro su YouTube, letto dalla stupenda voce di Librinpillole.
Il videogioco “Shipwrecked 64”, restando in tema di elementi strani e fuori di testa.
Il Film “Eraserhead - La mente che cancella” uscito nel 1977, vero cult sotto ogni punto di vista.
Buon viaggio, cari lettori e care lettrici,
Alla prossima!
Commentaires