Hagalaz: la Runa Madre e il mito della Creazione
- Valentina Cavallese
- 28 gen
- Tempo di lettura: 5 min
È stato detto che le rune, nel loro senso arcaico, simbolico e oracolare, possono essere suddivise in tre gruppi: della creazione, della manifestazione e della lotta-rinnovamento. Mi sembra naturale iniziare con il primo gruppo. Esso rappresenta la creazione intesa come una serie di passaggi consequenziali che raccontano di come gli dèi abbiano plasmato e trasmutato la materia divina, o primordiale, per condurla sul piano umano.
La prima runa è quindi Hagalaz, altresì detta la Runa Madre: unendo ognuna delle sue estremità essa racchiude tutte le altre rune. È interessante il fatto che la struttura molecolare a esagono sia piuttosto comune in natura, a partire dal ghiaccio, di cui qui si parlerà molto.


Mi soffermo sulla simbologia del numero 6, legata a quella del 3 – dalla nota valenza divina e perfetta. Il 3, qui, rappresenta la totalità dello spazio (inferi, terra e cielo) e quella del tempo (passato, presente e futuro). Il primo uomo, Buri, nacque in tre giorni, così come tre furono i primi dèi. L’albero cosmico ha tre radici, e tre sono le norne, presso di esso, il cui compito è quello di stabilire il destino degli uomini. Ogni rito per essere efficace e potersi considerare completo dev’essere ripetuto tre volte. Il 6 non fa altro che duplicare il valore della sua metà.
Ancora più interessante è il fatto che Hagalaz si ponga come primo passaggio creatore, che necessita dunque di un proseguimento: così come il 6, che assomma due misure di completezza (3+3) e crea una sorta di bilancia, di equilibrio statico che anela ad uno sbocco successivo, una soluzione, ovvero il 7 – e anche qui se ne potrebbe parlare a lungo. Völsungar, capostipite di una saga leggendaria, nacque dopo che sua madre rimase gravida per ben sei anni; quando capì che non sarebbe sopravvissuta più a lungo, diede alla luce suo figlio, e poi morì.
Facciamo ora un passo indietro. Si narra che Odino, all’inizio dei tempi, insieme ai suoi due fratelli smembrò il gigante Ymir, ricavando dal suo corpo l’universo stesso. Secondo la tradizione nordica il ghiaccio è considerato un elemento che sta all’origine del cosmo. Gli Elivágar, i fiumi cosmici e impetuosi che sorgevano dal gelido pozzo primordiale Hvergelmir, si allontanavano a tal punto dalla propria sorgente che la superficie velenosa congelava; da essa si levava una pioggerella sottile che avvelenava e ricopriva di brina tutto Ginnungagap, il baratro in cui il nulla era contenuto. È incontrandosi con il vento caldo che giungeva invece da meridione, dove sorgeva il mondo Muspell, una regione lucente e torrida, che il ghiaccio si sciolse, dando origine alla vita: Ymir fu il primo gigante. Dal sudore della sua mano e dei suoi piedi (di nuovo l’acqua come elemento creatore e il numero 6, giacché il figlio generato da un suo piede possedeva sei teste) nacquero gli uomini, di cui il primo fu Buri. Da Buri nacque Borr, che unendosi con Bestla generò i primi fra tutti gli dèi: Odino, Vili e Vé. In seguito, gli dèi uccisero il gigante Ymir e nel suo sangue (anch’esso elemento sacro con cui, peraltro, le rune venivano tracciate) affogarono tutta la stirpe dei giganti di ghiaccio. Portarono poi il corpo di Ymir nel mezzo del «baratro degli abissi» e da ogni singola parte del suo corpo trassero un pezzetto di mondo.
E così Hagalaz, il cui significato è per l’appunto «ghiaccio, grandine, uovo primordiale», rappresenta la struttura dell’universo, che è esattamente quella dell’uomo.
Nel suo glifo possiamo trovare le quattro direzioni, più lo zenit e il nadir. È importante ricordare che l’asse verticale rappresenta il piano divino, nella sua parte superiore, e il piano umano, nella sua parte inferiore; ecco che Hagalaz dispone di una struttura a specchio in cui il macrocosmo si riflette nel microcosmo. Ciò è tipico anche dei miti cosmogonici, caratterizzati dall’equazione «macroantropo = microcosmo». Per esempio, sappiamo che la volta del cielo fu tratta dal cranio del gigante Ymir. Il cranio è ciò che resta dell’uomo dopo la morte, pertanto simboleggia l’eternità, nonché la parte più regale dell’essere umano, in quanto «sede della mente umana, nella quale è contenuta e protetta la vita nella sua più elevata espressione». Dal cervello del gigante invece nacquero le nuvole; si ricorda che, secondo una versione, le rune vennero tratte proprio dal liquido che gocciolava dal cranio di un gigante.
Poiché matrice, Hagalaz non può essere scomposta. Un’altra definizione che le appartiene è Runa Hog, dal norreno Hugr, l’insieme degli aspetti spirituali di un essere umano: animo, cuore, sentimento, desiderio e mente. Tutti aspetti che non possono funzionare l’uno separato dall’altro, in una perfetta visione olistica del rapporto uomo-dio, spirito-corpo, cosmo-terra.
La natura di Hagalaz è preziosa e potente. Attraverso il mito esprime un concetto fondamentale. La grandine arriva con la tempesta, che è distruttiva (Hagalaz è infatti una Brimrún, ovvero runa di Tempesta); ma poi, quando il chicco si scioglie, diventa acqua/goccia creatrice. Il ghiaccio è dunque un elemento che necessita di essere plasmato per donare la vita, così come Odino uccise il gigante Ymir per generare l’universo. Spesso, nelle letture oracolari viene interpretata come “un cambiamento improvviso, l’irrompere di qualche cosa, la rottura di uno schema”, proprio come una tempesta che arriva per rinnovare, pur lasciando alle sue spalle una scia di distruzione. Mi ricorda in qualche modo Tempesta Blu, o Cauac, della tradizione Maya, glifo (o kin = giorno) in cui l’energia (l’archetipo) dominante che giunge dal cosmo è distruttrice e al tempo stesso purificatrice; o, banalmente, il diluvio universale biblico.
Ma non solo, Hagalaz è una runa celebrata durante la transizione autunno-inverno, rappresenta di conseguenza un ciclo naturale al quale non è possibile sottrarsi; sotto il ghiaccio e la neve riposa la vita.
Hagalaz è il nucleo (l’uovo), l’origine di ogni cosa, il centro della natura fisica e divina dell’uomo. È quella connessione interiore che lo unisce ai piani superiori, come un cordone ombelicale dal quale riceve istruzioni e nutrimento. Se, per esempio, da una lettura runica dovesse giungervi in risposta Hagalaz, potrebbe significare l’arrivo di uno sconvolgimento, la necessità di rientrare in contatto con una parte profonda di sé o con le energie naturali; oppure il consiglio di intervenire sulla struttura di qualche cosa, che sia materiale, mentale, lavorativa o relazionale. Qualcosa dev’essere plasmato, modificato o rinnovato; qualcosa, chissà, dev’essere distrutto.
Infine, va detto che Hagalaz viene anche (o meglio, molto più di frequente) rappresentata nel modo che segue, a mio avviso decisamente meno rappresentativo, per quanto si possa notare un contatto discendente tra il piano divino e quello umano. Secondo la mia fonte, di cui trovate in calce il riferimento, si tratterebbe in realtà di un segno dalla valenza principalmente di tipo alfabetica, e non divinatoria.

Di questa runa speciale s’è detto a sufficienza, anche se la curiosità potrebbe spingere a ricercare tante altre espressioni e affinità, non solo con la cultura nordica, ma anche con le simbologie arcaiche di tutto il mondo.
Nella speranza che un senso di surreale meraviglia possa, almeno in parte, sfiorarvi tanto quanto ha sfiorato – travolto - me, proseguiremo nel prossimo articolo con Ýr, runa che simboleggia l’albero cosmico, la morte e la connessione tra i mondi; e con Ansuz, la bocca creatrice, il soffio vitale.
Nota: La natura simbolica delle rune e l’interpretazione che se ne dà in questa sede è tratta dal volume Rune. La conoscenza arcana, di Úlfgaldar Valtýsson (Massimo Aurelio Nobili). Per tutti gli altri riferimenti invece la fonte è l’illustre Miti nordici di Gianna Chiesa Isnardi.
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