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Gli EROI di Oggi: TROPPO DEPRESSI?

  • Immagine del redattore: Donny The Jarl
    Donny The Jarl
  • 17 nov
  • Tempo di lettura: 3 min

Un tempo gli eroi volevano salvare il mondo. Oggi cercano semplicemente di non crollare emotivamente prima dei titoli di coda. Il paradigma si è ribaltato: l’eroe classico agiva per una missione, quello moderno per una ferita. Non cerca la giustizia, cerca una cura. O, più spesso, un calmante per l’anima.


Ormai ogni protagonista ha un trauma personalizzato, quasi fosse incluso nel kit di benvenuto dell’eroe contemporaneo. Non è un dettaglio narrativo, ma la sostanza stessa del personaggio. Il dolore non è più l’ostacolo da superare: è la scintilla che accende tutto. Più soffri, più sei interessante; più sei a pezzi, più il pubblico ti considera “profondo”. La serenità, semplicemente, non fa audience.


Così, mentre gli eroi del passato superavano la sofferenza per diventare qualcuno di migliore, i protagonisti di oggi sembrano vivere dentro la loro ferita. Non la curano, la coltivano. Il trauma non è un passaggio: è diventato l’identità stessa.


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Eppure non è sempre stato così. Pensiamo a Goku: soffre, ma sorride e avanza. Pegasus combatte per un ideale più grande di lui. Kenshiro trasforma il dolore in giustizia, senza mai farne un vessillo. Tutti eroi che affrontano la sofferenza per elevarsi oltre di essa.


Il punto di rottura arriva con Evangelion. Shinji Ikari non vuole salvare il mondo: vuole solo non sentirsi di troppo. Da lì parte una rivoluzione narrativa. Naruto vuole essere visto, Eren vuole colmare l’impotenza, Tanjiro combatte più contro il senso di colpa che contro i demoni. Il trauma diventa la nuova origine universale: prima l’eroe nasceva dal coraggio, ora dalla cicatrice.


Questa trasformazione rispecchia la nostra epoca. Viviamo in un mondo che predica benessere psicologico, mentre le storie raccontano che non si guarisce mai del tutto. Il trauma non è più una tappa del viaggio dell’eroe: è il viaggio stesso. Le battaglie non sono più solo scontri, ma sedute di autoanalisi. Nei racconti degli anni ’80 si voleva superare la prova; oggi si osservano le pareti della propria ferita.

Guardiamo Attack on Titan: si parte da una guerra contro il male esterno e si finisce in una spirale di memoria e colpa. In Demon Slayer, ogni antagonista viene spiegato attraverso un passato straziante. Non esiste più il male “puro”: esiste solo ciò che non è stato curato.


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Siamo passati dall’ammirare chi restava in piedi dopo la tempesta a seguire chi ammette di non avere l’ombrello. La fragilità è diventata una credenziale morale. Ma da quando essere “a pezzi” è diventato un valore in sé?


Il problema è che, mentre osserviamo questi eroi analizzare sé stessi, lo facciamo anche noi. Non perché vogliamo imitarli, ma perché ci consolano: soffrono come noi, ma almeno hanno un arco narrativo. Le nostre vite, spesso, restano sospese tra atti non conclusi. E allora sorge la domanda: ci siamo abituati a storie che non offrono soluzioni perché non riusciamo più a immaginarle?


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L’eroe moderno non vuole cambiare il mondo: vuole capirsi. È il simbolo perfetto di una generazione che ha spostato il focus dal “cosa fare” al “come sto”. Ma il rischio è dimenticare la lezione più antica: la ferita può essere un motore, non una gabbia.


Il vero eroe non è quello definito dal trauma, ma quello che riesce a trasformarlo. Non chi resta schiacciato dal dolore, ma chi lo usa per illuminare la strada. È questo che ci ispira davvero: la possibilità di cadere e rialzarsi, ogni volta, con uno scopo più grande.


Questo articolo è tratto dal video pubblicato sul canale YouTube ALCHILL, che puoi vedere nella sua versione completa a questo link: Perché Gli EROI Soffrono Troppo?


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